Questo è uno dei primi libri che ho letto, quindi più che un libro è anche un ricordo lontano, ma ricordo vividamente che mi era piaciuto abbastanza. “Il faraone delle Sabbie” è scritto da Valerio Massimo Manfredi, uno degli scrittori di narrativa più autorevoli in Italia, noto forse maggiormente per aver scritto la trilogia di “Aléxandros”.
A dopo il break.
La Pagina 101 (comprende anche pagina 100 in quanto era troppo breve):
“Si rilassi, un pò, Blake” gli disse “lei deve essere stanco morto. La cena è per le sei e mezza sotto la tenda beduina, se le fa piacere stare con noi. Ieri sera abbiamo cenato più tardi per aspettarla, ma di solito si cena presto, all’americana.”
“Ci sarò” disse Blake, poi prima di uscire: “Ho bisogno di sviluppare e stampare delle fotografie.”
“Abbiamo tutta l’attrezzatura necessaria,” rispose Maddox “perchè facciamo spesso riprese aeree con il pallone e sviluppiamo il materiale nel nostro laboratorio. Sarah Forrestall le mostrerà dov’è.”
Blake ringraziò e uscì passeggiando un poco per l’accampamento poi prese a discendere il wadi verso sud per fare venire l’ora di cena. Era troppo stanco per lavorare.
L’atmosfera si era un pò rinfrescata; le tamerici e le ginestre spandevano lungue ombre sulla ghiaia pulita del fondo. Blake seguiva con lo sguardo le lucertole che correvano a nascondersi al suo passaggio e per un attimo vide un ibex, stagliato con le grandi corna ricurve sul disco del sole che scendeva dietro le colline. L’animale sembrò osservarlo immobile per un attimo poi, con uno scarto, si volse e scomparve come dissolto nell’aria.
Camminò per quasi un’ora prima di tornare indietro e quel lungo cammino gli mise l’animo in pace e rilassò la tensione che lo prendeva alla nuca ogni volta che si concentrava sul campo di ricerca. Il sole era quasi scomparso dietro la linea dei colli ma i suoi raggi radenti scolpivano ancora i profili che emergevano dal piano, rivestendoli di una luce fulva e limpida.
In quell’attimo, mentre riprendeva il cammino verso l’accampamento, il suo sguardo fu attratto da un’altura sulla sua sinistra ad una distanza di forse un chilometro, la cui cima era ancora illuminata dai raggi del tramonto.
Aveva l’inconfondibile aspetto di una piramide. E le striature orizzontali della sua stratigrafia ne accentuavano il realismo, fino a dare l’illusione quasi perfetta di una costruzione artificiale. Pensò subito all’altra montagna che dominava l’accampamento e che sembrava un leone accucciato. O una sfinge?
Che luogo era mai quello in cui la natura e il caso bizzarro avevano in qualche modo ricreato le forme del paesaggio più emblematico e suggestivo dell’antico Egitto? Rimuginò a lungo un dubbio mentre sulla valle di Ras Udash scendeva lentamente l’ombra della sera.